Le vere priorità per la crescita economica
aprile 5 | Pubblicato da Luigi Sorreca | NewsL’andamento dell’indice Pmi e degli ordinativi all’industria. L’attivita’ manifatturiera (dati Markit) si attesta a 47,8 in gennaio.
A fronte di questo grafico che dimostra come il quadro economico-industriale stia ancora soffrendo si rimane sconcertati dall’andamento della scena politica ed economica italiana.
Considerando i dati negativi come il calo del fatturato del 4.4%, addirittura un -7.1% nel mercato interno, ed il “solito“ e constante +1.6% per i mercati internazionali non si riesce a comprendere quale siano le reali priorità dell’esecutivo italiano partendo dal presupposto che il Governo Monti rappresenta la miglior compagine governativa dal dopoguerra ad oggi. Siamo, infatti, al di sotto della soglia di 50 punti come emerge dal grafico qui sopra quindi ancora in fase fortemente recessiva.
Francamente sembra di essere ritornati al 2001 anno del governo Berlusconi quando si contrapponevano l’allora segretario della Cgil Cofferati ed il presidente di Confindustria Amato sempre relativamente all’articolo 18 che monopolizzarono la scena nazionale per poi tornare nella solita mediocrità più congeniale senza alcun risultato.
Sono passati undici anni e lo scenario ora viene occupato da altre figure di rincalzo che recitano lo stesso copione che magari porterà anche all’accordo palesato, che poi dovrà essere ovviamente approvato dal Parlamento.
Superata con successo la situazione finanziaria emergenziale che vedeva nello spread superiore ai 500 punti la punta dell’iceberg della crisi italiana ora finalmente con lo spread stabilmente sotto i 300 punti si dovrebbe cominciare a parlare di economia e sviluppo.
E devo dire, al contrario di quanto tutti gli economisti affermano, che la modifica o cancellazione dell’ articolo 18 NON AVRA’ alcun influsso relativamente alle dinamiche della crescita industriale e del progresso economico nazionale.
Molte nostre aziende, circa 330 quasi tutte appartenenti alle PMI, stanno spostando le proprie sedi al di là dei confini nazionali, quindi in Svizzera Slovenia ed Austria, non solo a causa di una tassazione inferiore come in modo miope molto osservatori liquidano con superficialità.
La principale ragione è rappresentata da un rapporto di servizio tra la Pubblica Amministrazione e le imprese che in quel paese producono beni e quindi determinano ricchezza e benessere diffuso.
Nessuno infatti ha saputo cogliere il paradosso della Svizzera la cui economia certo NON ha i nostri problemi con un rapporto Pil/debito attorno al 39% ma che sta importando con politiche di incentivi aziende industriali.
Questa lungimirante politica economica parte dalla considerazione che solo le imprese industriali assicurano una crescita economica stabile e complessa con ricadute diffuse anche grazie al concetto di “intensità di manodopera per milione di fatturato“ che tali attività sanno assicurare a differenza del settore servizi.
Posso immaginare che il costo dell’appoggio al governo Monti, offerto dai maggiori partiti sia quello di non intaccare il bacino di voti che è rappresentato dalla Pubblica Amministrazione, ma proprio perché questo è il Governo del Tecnico, francamente indicare tutti i componenti di questo governo con questa definizione non mi sembra appropriata, ci si deve ora aspettare un cambio di passo e soprattutto una diversa declinazione delle priorità in funzione della crescita economica .
Negli Stati Uniti, grazie ai diversi tempi di acquisto della Grande Distribuzione e delle politiche fiscali dei singoli Stati, molte aziende stanno riportando le loro produzioni all’interno dei confini statunitensi con il beneplacito tardivo della università di Harvard che riconosce con un ritardo di vent’anni che le politiche di delocalizzazione NON portano alcun beneficio nel medio e lungo termine.
A questo si aggiunga che i mercati emergenti non gradiscono prodotti con brand internazionali ma made in China o altro: questi prodotti devono essere espressione dello stile e del know how riconosciuto del paese di origine.
In questo senso allora ecco che il Governo Monti dovrebbe intraprendere una azione politica forte e senza tentennamenti presso la Unione Europea per il varo della legge che tuteli il Made in Italy dopo i goffi tentativi che hanno visto in varie occasioni personaggi esporsi per poi rientrare mestamente nei ranghi.
Siamo di fronte ad una svolta epocale. A differenza delle superficiali opinioni dei soliti “esperti” il fast fashion perfettamente rappresentato dalle catene Zara ed H&M non ha messo in crisi le aziende espressione del Made in Italy ma le aziende della “filosofia Benetton“ caratterizzata da delocalizzazioni in paesi a basso costo di manodopera e nessun riversamento delle economie di costi sui prezzi finali. Il gruppo di Ponzano infatti è fermo da dieci anni ed il suo fatturato non vale la trimestrale del gruppo spagnolo Zara .
In questo nuovo contesto una legge che sappia finalmente garantire e valorizzare l’espressione del know how industriale e professionale italiano si rende più che mai necessaria e vitale proprio per valorizzare il settore industriale dalle 4A:
1.alimentare vini
2.abbigliamento (tessile) calzature pelletterie occhialeria cosmetici
3.arredo casa, settore mobilifici piastrelle
4. automazione meccanica gomma plastica (mezzi di trasporto e componentistica auto motive)
Al contrario l’impressione che se ne ricava dai primi mesi del 2012 è che per il governo la priorità, una volta tranquillizzati i mercati relativamente alla solvibilità del nostro debito , sia non lo sviluppo ma il mantenimento delle prerogative della PA e delle proprie ormai insostenibili deficienze e arretratezze professionali.
La mia paura è che ancora oggi non si sia compreso come lo sviluppo economico NON passa, ne è mai passato, attraverso la ridicola “gestione e crescita del patrimonio immobiliare“ che tanto piace alla classe dirigente politica ed economica anche per lo scarso impegno che questa richiedeva.
Ma solo attraverso la ripresa del sistema industriale italiano ed a caduta delle aziende che costituiscono il network di servizi ad esso collegato si potrà far ripartire la nostra economia e il benessere nazionale.
Certo a questa rinnovata considerazione per il sistema economico nazionale dovrebbe anche partecipare quella pletora di governatori delle regioni sindaci e presidenti di provincia che negli ultimi trent’anni hanno contribuito a rendere sempre più difficile ed ardua la gestione di una impresa economica di fatto violentando il concetto di federalismo ridotto alle semplice gestione del proprio territorio ad uso e consumo personale e familistico.
Questo è successo grazie al continuo ed indegno ricorso ai titoli di debito ed alla tassazione entrambi elementi che nel breve corso offrono un paracadute alle esigenze di tali figure politiche ma che nel medio e soprattutto nel lungo termine desertificano il territorio nazionale di quelle iniziative imprenditoriali che hanno permesso all’Italia di entrare nel circolo delle grandi potenze economiche dal quale ora rischiamo di uscire.
Ma ridare fiducia ed impegno al sistema industriale deve per forza essere accompagnato da UNA PROFONDA MODIFICA della cultura economica che ha dominato la scena italiana e che nell’ultimo decennio aveva portato ai fasti della cronaca le figure degli immobiliaristi con il consenso vergognoso della classe politica.
Considerato il pregresso professionale del Prof.Monti e la stima conseguente mi aspetto questo ed altro andando verso una centralizzazione delle politiche economiche ed industriali, che non significa la scelta di quale tipologia di impresa debba essere privilegiata , ma semplicemente il varo di una serie di norme e leggi che si possano tradurre in un perimetro nel quale sviluppare le opportunità di impresa e quindi di posti di lavoro “costringendo” di fatto anche gli enti locali a scelte in questo senso.
Mai nella storia della nostra Italia un Governo ha avuto il consenso di oltre il 60% della popolazione anche se non espressamente votato.
La grandezza di tale compagine si misurerà nella capacità di togliere al prossimo governo che verrà eletto nel 2013 il più possibile i margini per riportare il nostro Paese nella situazione nella quale trent’anni di incapacità politica lo avevano relegato.
Francesco Pontelli