Chiuse il 90% delle aziende del distretto tessile di Prato
marzo 24 | Pubblicato da Luigi Sorreca | News, PratoLe imprese avranno un po’ di respiro per organizzarsi: quelle che dovranno chiudere avranno tempo fino a tutto mercoledì 25 marzo per completare le lavorazioni in corso e spedirle ai clienti. Questo è quanto prevede il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri appena uscito. E’ stata così recepita una delle principali richieste venute dal mondo delle imprese per contemperare le proprie esigenze produttive alle finalità di tutela della salute pubblica a cui si ispira il Decreto.
Positiva anche la procedura della comunicazione al prefetto da parte delle imprese incluse nelle filiere a servizio dei settori indicati come essenziali: una soluzione semplificata che potrà essere di aiuto per sanare quello che è apparso fin dall’inizio come un punto cruciale della questione, soprattutto - ma non soltanto – per il tessile-abbigliamento. Questa procedura potrebbe anche servire per rendere operative senza altri ostacoli le imprese riconvertite o in via di riconversione produttiva verso mascherine e dispositivi di protezione, non necessariamente fornite del codice Ateco corrispondente. Salvaguardate anche attività di consulenza necessarie all’attività aziendale. Continua invece lo sconcertante silenzio sull’edilizia: ci si chiede come saranno possibili le manutenzioni edili alle strade e autostrade e agli immobili produttivi.
L’allarme del sistema confindustriale ha quindi avuto effetti positivi, pur con alcune eccezioni. All’allarme e alle richieste da formulare al Governo ha fornito un importante contributo anche Confindustria Toscana Nord, intervenendo fin dalle prime ore di questa mattina presso il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, che ha dato immediato riscontro.
Le aziende e tutte le persone che a vario titolo vi sono impegnate - proprietari, management, lavoratori - stanno compiendo un sacrificio, continuando a lavorare in un clima di ansietà o fermandosi e mettendo a repentaglio il proprio futuro. La speranza è che questo sacrificio possa essere utile al paese.
Nell’area di riferimento di Confindustria Toscana Nord – le province di Lucca, Pistoia e Prato – gli effetti del decreto del 22 marzo sulla chiusura delle fabbriche si faranno sentire con grande intensità.
Da un calcolo del Centro studi di Confindustria Toscana Nord emerge che, limitandosi al manifatturiero, le imprese classificate come essenziali e che quindi sono autorizzate a rimanere aperte nel complesso delle tre province saranno il 24% del totale, corrispondente al 31% degli addetti. La percentuale emerge dall’analisi dei codici Ateco (la classificazione ufficiale delle imprese in base alle loro specializzazioni produttive), che costituiscono il discrimine fissato dal decreto per stabilire chi può rimanere aperto e chi invece dovrà chiudere. E’ possibile che la percentuale effettiva delle imprese che rimarranno aperte sia a regime leggermente più alta: il decreto prevede la procedura della comunicazione al prefetto da parte delle imprese incluse nelle filiere a servizio dei settori indicati come essenziali, imprese che quindi, attraverso questa dichiarazione, sono equiparate a quelle essenziali. Con queste imprese aggiuntive, tuttavia, si arriverebbe a pochissimi ulteriori punti percentuali. Significativamente diversa la situazione nelle tre province: a Lucca rientra nei codici Ateco autorizzati all’apertura il 40% del manifatturiero (56% degli addetti); a Pistoia il 29% del manifatturiero (32% degli addetti); a Prato il 14% del manifatturiero (13% degli addetti; ancora inferiori i dati del distretto tessile, che include anche comuni limitrofi del fiorentino e del pistoiese e che segna il 10% delle imprese e il 12% degli addetti). Per quanto riguarda i servizi alle imprese il dato è pressoché uniforme per le tre province e indica nel 47% il numero delle attività aperte, corrispondenti al 50% degli addetti.
“Noi imprenditori di Confindustria Toscana Nord siamo sgomenti e fortemente preoccupati come tutti gli italiani per i decessi e i contagi da coronavirus – commenta il presidente di Confindustria Toscana Nord Giulio Grossi -. Non a caso abbiamo lavorato e investito per mettere a punto misure di sicurezza in grado di tutelare al meglio la salute dei nostri dipendenti e di noi stessi. Se pensassimo che lavorare nei nostri stabilimenti possa mettere a repentaglio la salute di qualcuno saremmo i primi a voler chiudere. Ma non lo pensavamo prima del decreto e non lo pensiamo adesso che il decreto c’è, recepisce fortunatamente molte delle osservazioni che avevamo formulato in attesa della sua stesura definitiva ma comunque impone la chiusura a una quota molto consistente delle nostre imprese. Da cittadini responsabili ci adeguiamo alla legge ma rimane una fortissima preoccupazione per il futuro. Lucca e in minor misura Pistoia riescono a salvare una parte discreta delle proprie aziende grazie al fatto che alimentare, carta, meccanica per la carta, farmaceutica e plastica rientrano fra le imprese essenziali; la situazione di Prato, intesa come provincia e ancor più come distretto tessile, ci dà il senso di un intero territorio letteralmente messo in ginocchio e che non trarrà verosimilmente grandi benefici nemmeno dalla riconversione, necessariamente limitata, verso la produzione di mascherine e dispositivi di protezione. Il dramma economico che si profila per il nostro paese è evidenziato da un recente rapporto Cerved, secondo il quale le imprese italiane potrebbero perdere fino a 650 miliardi di fatturato nel 2020-21. Severo l’allarme di Cerved Rating Agency secondo cui se l’emergenza non si arrestasse entro l’anno, un’azienda italiana su dieci fallirebbe. Anche il nostro territorio non sfugge a queste prospettive di inaudita gravità, con prospettive economiche e occupazionali disastrose.”