Rapporto Cerved PMI 2020, il fatturato delle PMI diminuirà fino a 16,3%.
novembre 5 | Pubblicato da Luigi Sorreca | Economia, NewsPiccole e medie imprese in ginocchio a causa della pandemia. È quanto emerge dal Rapporto Cerved Pmi 2020, che evidenzia cali del fatturato tra l’11% e il 16,3% e della redditività (-19%), con 2 milioni di posti di lavoro a rischio sul totale delle imprese private. Peggiorano i mancati pagamenti e raddoppiano (da 8,4% a 16,3%, fino a 21,4% con nuovi lockdown) le Pmi che potrebbero andare in default.
«Le ricadute saranno fortemente asimmetriche, con alcuni settori in espansione e altri destinati al ridimensionamento: occorrerà dunque operare delle scelte su dove indirizzare le risorse, mettendo al centro la sostenibilità e la digitalizzazione», spiega Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved (Nella foto).
Gli effetti sarebbero particolarmente consistenti per le piccole imprese e per quelle che operano nel sistema moda, nella siderurgia, nella logistica e trasporti e in alcuni servizi alle persone. Nei dieci settori più colpiti – in particolare agenzie di viaggio, strutture ricettive, ristoranti, che potrebbero dover ridurre di un terzo o più il loro personale – si concentrerebbe circa la metà della perdita occupazionale.
Solo nella ristorazione si potrebbero avere 432 mila posti di lavoro in meno, ma nuovi lockdown farebbero aumentare questa stima a 667 mila; nel sistema alberghiero i cali oscillano tra il 28 e il -37% a seconda dello scenario, mentre nella moda la forbice va dal -14,7% al -20,5%.
Dal punto di vista territoriale gli effetti maggiori si avrebbero nel Mezzogiorno: -9,4% di occupati nel settore privato, -13% nello scenario più severo. In termini di tassi di occupazione, il divario Nord-Sud non si allargherebbe ulteriormente solo grazie al maggior peso della Pubblica Amministrazione tra gli occupati del Mezzogiorno.
Una simulazione condotta da Cerved sul totale delle imprese private, quindi non solo Pmi, prevede che a fine 2021 vadano persi 1,4 milioni di posti di lavoro e si abbia una riduzione del capitale di 47 miliardi di euro (il 5,3% del valore delle immobilizzazioni) qualora, una volta cessate le attuali misure di sostegno, non ci siano prospettive di rilancio. Con nuove chiusure, i disoccupati salirebbero a 1,9 milioni, e a 68 i miliardi in meno di capitale (7,7%).
Finora gli impatti della pandemia sono stati mitigati dai provvedimenti di emergenza, come l’estensione della Cassa Integrazione e gli interventi sulle garanzie pubbliche: nel 2020, dunque, nonostante i forti segnali di difficoltà, la maggior parte delle Pmi italiane chiuderà l’anno in pareggio o in utile e gli indici di redditività, pur crollando rispetto al 2019, risulteranno in media ancora positivi.
Ma quando queste misure avranno fine, gli effetti della crisi potrebbero manifestarsi in maniera assai più rilevante: senza prospettive di rilancio, molti imprenditori potrebbero licenziare o dover chiudere le proprie attività. Sarà quindi decisivo, tra le altre misure di sostegno, il NextGenerationEU, il piano di finanziamenti per la ripresa dell’Europa (750 miliardi di euro, di cui 209 da destinare all’Italia), che ha messo al centro la sostenibilità e la digitalizzazione delle aziende.
«Il Governo – chiarisce Mignanelli – ha messo in campo interventi che hanno mitigato gli effetti sui lavoratori e sulle imprese, consistiti in un’ampia estensione della Cassa Integrazione e in un forte sostegno alla liquidità utilizzato tra marzo e settembre da circa 60mila Pmi (analisi condotta sui dati del Fondo Centrale di Garanzia), che si sono finanziate per 32,5 miliardi, riuscendo a ridurre già da giugno il proprio divario in termini di rischiosità e mancati pagamenti».
Alla sua settima edizione, il Rapporto Cerved PMI 2020, si basa sull’ampio patrimonio di informazioni di Cerved relativo a 158.658 società di capitale non finanziarie, di cui 131.758 piccole e 26.810 medie imprese, che impiegano tra 10 e 250 addetti e rientrano nella definizione europea di piccola e media impresa.
In Italia le Pmi rappresentano il 19,6% delle società che hanno depositato un bilancio valido e impiegano 4,2 milioni di addetti. Nel 2019 il loro fatturato è salito in termini reali del 2,8%, tornando al di sopra dei livelli del 2007. Il valore aggiunto è aumentato del 3,4% sul 2018, ma ciò non è stato sufficiente a coprire l’aumento del costo del lavoro, con impatti negativi sulla redditività lorda, che rimane lontana dai livelli pre-crisi (-19,4%), sugli indici di profittabilità e sul ROE, di nuovo in calo dal 13,9% del 2007 al 10,8% del 2019.
Nonostante la ripresa avesse già perso smalto prima del Covid, le PMI avevano proseguito nel 2019 un lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario, con oneri finanziari ai minimi (12,8% del Mol) e una riduzione del peso dei debiti finanziari (il 61% del capitale netto, contro il 115% del 2007). L’emergenza da Covid19 però ha sparigliato le carte.
In che modo, dunque, far ripartire gli investimenti? «L’iniezione di risorse nel sistema delle Pmi dovrà quindi necessariamente prevedere sia finanziamenti a debito sia apporti di capitale di rischio, e un ruolo importante sarà giocato da operatori finanziari non bancari, nei quali il nostro Paese mostra ancora un ritardo di sviluppo», prosegue Mignanelli.
«Trasformazione digitale, distruzione e ricostituzione delle catene globali del valore, smartworking potrebbero però indurre un rapido cambiamento della struttura produttiva, con alcuni settori emergenti in espansione e altri destinati a un inevitabile ridimensionamento: sarà dunque necessario fare delle scelte su dove indirizzare le risorse».
Anche rispetto ai 209 miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia con il NextGenerationEU non si potrà prescindere dalle due direttrici previste, digitalizzazione delle imprese e transizione verso un sistema più sostenibile.
Secondo un’analisi basata sul Cerved Growth Index (indice sulle potenzialità di crescita delle imprese italiane in base anche al loro grado di innovazione digitale) sono appena 14mila (il 9%) le PMI con digital capabilities elevate.
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