Limite a sostanze chimiche. Impegno di molti big della moda italiana
settembre 21 | Pubblicato da Luigi Sorreca | NewsDieci grandi marchi della moda italiana, fra i quali Gucci e Prada, si sono impegnati a limitare l’utilizzo di sostanze chimiche nei loro vestiti e accessori. Lo ha annunciato il Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa, al salone francese Première Vision di Parigi.
“Nel nostro settore, non c’è futuro senza sviluppo sostenibile”, ha affermato Carlo Capasa nel corso di un dibattito sulla “responsabilità” nella moda, organizzato dalla fiera transalpina, principale appuntamento mondiale dei professionisti della filiera.
Carlo Capasa e il suo omologo britannico, Caroline Rush, del British Fashion Council, hanno presentato le loro iniziative, pur riconoscendo che questo è solo un inizio.
Dieci grandi aziende (Gucci, Prada, Armani, Zegna, Valentino, Ferragamo, OTB, Staff International, Loro Piana e Versace) riunite dalla CNMI in un gruppo di lavoro sullo sviluppo sostenibile, hanno convenuto di rispettare un livello massimo di sostanze chimiche nei loro prodotti, più restrittivo delle regolamentazioni in vigore.
Questi impegni, che riguardano 500 sostanze, saranno resi noti in ottobre, ha precisato Carlo Capasa. Il documento fissa anche un limite, più ambizioso, da raggiungere in futuro e prefigura l’utilizzo di sostanze alternative, meno nocive.
Il gruppo di lavoro ha anche gli obiettivi di impegnarsi nel corso dei prossimi 3 anni sulla tracciabilità e l’origine dei filati, dei tessuti, della pelle, oltre che sulle condizioni di lavoro del personale. La camera della moda spera che tutti i suoi membri alla fine rispetteranno le raccomandazioni.
La direttrice del British Fashion Council, che partecipava alla stessa tavola rotonda, ha invece ricordato che la sua organizzazione nel 2006 aveva realizzato un’iniziativa, Esthetica, volta a promuovere il lavoro degli stilisti impegnati in un approccio di sviluppo sostenibile: utilizzo di materiali riciclati, materie prime ecologiche o provenienti da commercio equo-solidale. Come esempio, ha citato lo stilista Christopher Raeburn, conosciuto per l’utilizzo di tessuti militari.
“I consumatori sono sempre più attenti e sensibili alla responsabilità (dei brand), chiedono prodotti ecocompatibili, si preoccupano delle condizioni di lavoro degli operai, dopo il dramma del Rana Plaza”, ha commentato Chantal Malingrey, direttrice marketing di Première Vision.