Pareri contrastanti su effetti Brexit sulla moda
giugno 27 | Pubblicato da Luigi Sorreca | NewsL’uscita dalla Ue potrebbe comportare l’introduzione per la prima volta da 40 anni di dazi sul mercato britannico e anche ipotizzando tariffe contenute, il dazio medio applicato alle imprese italiane dopo Brexit potrebbe essere superiore al 5% del valore esportato. Immaginando che le imprese italiane mantengano invariati i prezzi in euro facendosi carico del dazio, potrebbe costare nel complesso più di 1 miliardo di euro, solo lo 0,25% dell’export italiano nel mondo.
La forte specializzazione dell’offerta italiana nel Regno Unito nei settori della meccanica, della farmaceutica e degli altri mezzi di trasporto (un quarto dell’export manifatturiero Italiano nel paese) dovrebbe rendere la Brexit per alcuni settori della media-alta tecnologia meno stringente, segnala poi l’analisi di Prometeia.
Potrebbero uscire invece molto penalizzati diversi comparti del Made in Italy tradizionale, stima l’analisi. Applicando le tariffe medie di comparto ai flussi effettivi del 2015, le imprese dell’alimentare arriverebbero infatti a perdere 450 milioni di euro (il 14% delle proprie vendite sul mercato), la moda oltre 200 milioni di euro (il 9% di quanto esportato).
La svalutazione della sterlina potrebbe rappresentare per l’offerta italiana un rilevante, seppur temporaneo, svantaggio competitivo, agendo sulla competitività italiana sia sul mercato britannico (rispetto ai produttori nazionali) sia in paesi terzi dove le imprese italiane e britanniche competono più intensamente.
Brexit: Marenzi (SMI), impatto su aziende moda limitato
“Se da una parte l’UK rappresenta il quarto mercato per l’export dei nostri prodotti, è anche vero che oramai Londra, come Parigi, rappresenta una destinazione di transito verso altri paesi e che l’impatto per le nostre aziende, se ci sarà, potrà essere alquanto limitato”. Così commenta il presidente di SMI-Sistema Moda Italia, Claudio Marenzi in relazione alla Brexit.
Da questo punto di vista, in realtà, Italia e Regno Unito non presentano elevati punti di “attrito”: negli oltre 120 micro settori analizzati da Prometeia, in meno di 30 Italia e Regno Unito risultano contemporaneamente tra i primi 10 esportatori mondiali. Di questi un terzo appartiene alla meccanica, mentre gli altri sono equamente distribuiti tra produzioni di beni di consumo (alimentare, abbigliamento, cosmesi, gioielleria e articoli sportivi), beni intermedi (chimici e per le costruzioni) e d’investimento (mobili per ufficio, aerospazio).
Non mancano casi di maggior competizione diretta, come i prodotti da forno, le forniture mediche e dentistiche, i mobili per ufficio, le specialità medicinali e, soprattutto, l’oreficeria e gioielleria (per cui oltre il 70% delle vendite extra Ue si rivolge agli stessi mercati).
“D’altra parte, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa ci fa perdere un avversario – aggiunge Marenzi – che sia nel passato che nel presente ha osteggiato la nostra industria: dalla battaglia sulle produzioni del Pakistan, al riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina, fino al Made In”.