Come cambia il mercato del womenswear secondo il sondaggio di Fashion Magazine
marzo 4 | Pubblicato da Luigi Sorreca | NewsI consumi di moda donna in Italia continuano a essere in difficoltà. Ma qualcosa sta cambiando, grazie alle strategie messe a punto dai dettaglianti più lungimiranti e con le spalle robuste: dall’e-commerce alle vendite agli stranieri, senza perdere di vista l’importanza della clientela locale. Lo rivelano i 75 luxury multibrand che hanno risposto al nostro sondaggio.
Che le vendite di moda donna in Italia siano in crisi non è certo una novità. Qualcosa però sta cambiando. Grazie all’e-commerce, agli acquisti degli stranieri – in tutte le loro declinazioni, compreso il parallelo, adesso sdoganato con il termine “b2b” – e, in special modo, all’intraprendenza e alla professionalità dei dettaglianti italiani, sembra che l’emorragia degli ultimi anni si stia arginando.
Ormai sono stati tagliati all’osso i budget, o comunque rimodulati ad hoc, limati all’essenziale i costi e presi i provvedimenti necessari per affrontare le difficoltà. Come emerge dal nostro sondaggio – realizzato con la collaborazione di 75 top multibrand store, sparsi in tutta la Penisola -, il sell out di questo autunno-inverno per circa la metà del panel (il 56% riferito all’abbigliamento e il 44% agli accessori) si è mantenuto in linea con quello dello scorso anno.
Cresce anche la percentuale delle boutique che chiudono la stagione con qualche soddisfazione economica in più, soprattutto per merito degli accessori (borse in primis), il cui fatturato, per oltre un terzo degli interpellati (36%) è in incremento.
Anche i saldi invernali partiti con la solita fiammata iniziale hanno poi trovato un rinnovato vigore per merito del freddo tardivo di fine gennaio: per il 33% del panel la loro performance è risultata in aumento.
D’altra parte, dopo sei anni di crisi, a detta di molti la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi, i negozianti italiani più lungimiranti e con le spalle robuste – la selezione purtroppo non ha risparmiato nemmeno alcune insegne storiche – hanno identificato nuovi percorsi per affrontare le mutate condizioni di mercato.
Perché gli ostacoli da superare non riguardano solo la diminuita capacità di spesa dei nostri connazionali, ma anche le strategie commerciali dei big brand. Le aziende più importanti sono infatti sempre più concentrate sullo sviluppo della propria rete retail, a scapito del wholesale: di conseguenza tendono a ridurre ai negozianti sia i mark up (in alcuni casi scesi all’1.9 rispetto al 2.5 canonico), sia i budget dei prodotti e/o delle collezioni di successo.
Tra i buyer italiani ha suscitato non poca disapprovazione il fatto che Valentino, a inizio febbraio, abbia tagliato del 70% gli ordini per il prossimo autunno-inverno (tranne a due o tre insegne multibrand che gestiscono in modo massiccio il parallelo della griffe).
«Quando il marchio usciva a fatica dai negozi lo abbiamo comunque supportato – commentano con amarezza alcuni intervistati -. Adesso che invece va bene, e che ne ricaviamo soddisfazioni, la maison ci riduce i quantitativi».
Bisogna inoltre fare i conti con i prezzi sempre più elevati delle collezioni «a cui spesso non corrisponde un adeguato livello creativo e di qualità, al punto da suscitare indignazione anche nella clientela italiana più benestante», lamenta la maggior parte del panel.
Non può stupire pertanto che a Dolce&Gabbana, best seller nell’abbigiamento donna di questo inverno, venga riconosciuto da diversi commercianti un accettabile rapporto qualità-prezzo.
Nella hit parade seguono al secondo posto Givenchy e Saint Laurent, molto amati dagli stranieri, in special modo dai cinesi e, al terzo, Valentino ed Herno, con i suoi piumini, forti di un ottimo value for money (mentre si dice che Moncler abbia perso qualche posizione anche per colpa della cattivà pubblicità fatta dal programma televisivoReport).
In tema di accessori, la medaglia d’oro va a Givenchy e quella di bronzo a Valentino. In mezzo si piazza Michael Michael Kors, grazie alle borse che spopolano per il prezzo più che competitivo: nell’ordine dei 300-400 euro.
«Certo non sono borse fatte in Italia e non le mettiamo nemmeno in vetrina, ma piacciono, e non poco, soprattutto alle clienti italiane, che non sono più disposte a spendere dai 1.800 ai 3mila euro per una top bag» dichiara un negoziante, che preferisce mantenere l’anonimato, esprimendo un parere condiviso da numerosi altri suoi colleghi.
L’articolo completo è pubblicato sul numero 5 di Fashion in distribuzione in questi giorni (nella foto il multimarca G&B, Negozio a Flero, in provincia di Brescia).
e.c.