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Greenpeace: basta composti perfluorurati nelle composizioni

febbraio 10 | Pubblicato da Luigi Sorreca | News

L’ONG che lotta per l’ambiente ha presentato a gennaio uno studio su quaranta prodotti outdoor attraverso il quale è stata misurata la presenza di composti perfluorurati (PFC) nella loro composizione. Greenpeace sensibilizzava dal 2012 il settore dell’outdoor con rapporti su questo argomento. “E’ ironico pensare come queste aziende, che dipendono dalla natura per il loro business, rilascino consapevolmente degli agenti chimici pericolosi nell’ambiente”, ha attaccato Greenpeace. Dopo che la ONG ha rivelato i risultati di questo studio all’ultimo salone dei prodotti per le attività outdoor Ispo di Monaco di Baviera, e dopo aver condotto diverse azioni per stigmatizzare il comportamento di vari brand, molte società hanno deciso di reagire.

La maggioranza degli 11 marchi citati nello studio avevano o hanno precisato la loro posizione e i loro impegni riguardanti i PFC. I più sottolineano di essere passati a tecnologie più recenti per ottenere trattamenti idrorepellenti durevoli (DWR). Ma essi comportano sempre l’utilizzo dei PFC. “Utilizziamo ancora il trattamento idrorepellente ‘C6′ su molti dei nostri vestiti, perché attualmente non esistono alternative che soddisfino le nostre esigenze di alta qualità tecnica necessarie per le attività all’aria aperta”, spiega Haglöfs in un comunicato. “Siamo consapevoli dell’uso di questi composti e vogliamo sostituire tali tecnologie il più presto possibile. Haglöfs utilizza dei materiali idrorepellenti senza queste tecnologie quando può, per esempio sui nostri pantaloni outdoor, dove non è molto alto il bisogno di usarli. Facciamo anche parte di un gruppo di ricerca che punta a trovare un’alternativa che offra le stesse prestazioni”.

Sui 40 prodotti testati da Greenpeace, 4 erano di Haglöfs. Tre rispondevano ai criteri fissati dalla label Bluesign. L’ultimo, un paio di scarpe, ne era al di sopra. Il marchio ha precisato che si trattava di un prodotto del 2014 e che sarebbe stato ritirato dal mercato.

Mammut condivide sostanzialmente lo stesso orientamento, sottolineando inoltre che molti composti chimici sono utilizzati nell’industria tessile e che ha ridotto la percentuale di prodotti contenenti PFC nella propria offerta dal 29% al 23% per la stagione autunno-inverno 2016/17. Senza però fornire nel dettaglio la percentuale di questi prodotti senza PFC nella sua offerta dalle proprietà idrorepellenti. Il marchio spiega di rispettare anch’esso i criteri della label Bluesign e sottolinea che il suo partner, WL Gore, produttore delle membrane Gore-Tex, “investirà 15 milioni di euro in tecnologie alternative nei prossimi anni”.

Anche Norrona comunica che rispetta i criteri di Bluesign e mette in primi piano il lavoro del suo fornitore Gore-Tex. “Norrøna era cosciente che dei PFC e FTOH sarebbero stati trovati nella giacca “Lofoten Gore-Tex Pro”. Siamo stati completamente trasparenti sul fatto che alcuni nostri prodotti sono stati trattati con un idrorepellente DWR che contiene tali sostanze chimiche”, spiega il marchio in un comunicato. “Tuttavia, mettiamo in discussione i valori rilevati nei test condotti da Greenpeace. Anche Gore-Tex ha voluto testare la stessa giacca “Lofoten” in un laboratorio indipendente (Intertek), ed è risultato che i valori di PFC e FTOH erano significativamente più bassi e pienamente conformi con i valori limite di Bluesign. Siamo coscienti delle sfide ambientali legate all’utilizzo dei PFC, e stiamo lavorando per eliminare tali prodotti chimici dalla nostra produzione”.

Il marchio ha poi fissato il 2020 come termine per sopprimere i PFC. Un obiettivo condiviso da The North Face, che ha anche emesso un comunicato per chiarire le sue ambizioni. “Per la stagione autunnale del 2015, un buon numero dei nostri articoli di abbigliamento è stato trattato con dei DWR non fluorurati, attraverso degli sviluppi produttivi e dei test significativi ottenuti in collaborazione con uno dei nostri principali fornitori… I nostri fornitori non offrono tutti la medesima tecnologia, e la transizione è diversa per ciascun prodotto. Per la primavera 2017, quasi il 30% delle nostre nuove materie prime per l’abbigliamento trattate con DWR saranno non fluorurate. In realtà si tratta di un cambiamento importante nella nostra supply chain”.

Il marchio del gruppo VF indica per inciso che utilizza il programma di gestione delle sostanze chimiche sviluppato da VF Corp al fine “di testare e analizzare qualsiasi nuovo componente DWR prima del suo inserimento nei nostri prodotti”. Questo test preventivo punta a consentire al marchio di evitare l’utilizzo di formulazioni nocive per l’ambiente.

I trattamenti chimici al fluoro in questione sono utilizzati per aggiungere ai vestiti e alle materie prime per l’outdoor delle virtù di resistenza all’acqua, al grasso e alle macchie. Ma Greenpeace sottolinea che trova i residui di questi prodotti nei mari e nei corsi d’acqua di tutto il mondo, e nei luoghi più remoti. Essi hanno delle conseguenze negative sulla salute degli animali, non scompaiono e si accumulano. Ragione per la quale Greenpeace spinge le aziende ad eliminarli del tutto il prima possibile.

IL VIDEO DI GREENPEACE:

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