Moda, Tessile, Abbigliamento

LA MODA MASCHILE ITALIANA NEL 2021-2022 (Nota a cura di SMI)

gennaio 12 | Pubblicato da Luigi Sorreca | Economia, News

Il bilancio preconsuntivo del 2021

Lasciatosi alle spalle un 2020 archiviatosi con un calo del -19,5%, nel corso dell’anno appena conclusosi il menswear ha sperimentato, come del resto la filiera Tessile-Abbigliamento nel suo complesso, un ritorno in area positiva. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi di Confindustria Moda sulla base delle indicazioni provenienti dalle indagini campionarie interne nonché sulla base dell’andamento congiunturale del quadro macroeconomico di riferimento, la moda maschile italiana (in un’accezione che comprende la confezione e la maglieria esterna, la camiceria, le cravatte e l’abbigliamento in pelle) è attesa archiviare il 2021 con un fatturato in recupero del +11,9%, portandosi sui 9,1 miliardi di euro. Nonostante ciò, il recupero rispetto ai livelli pre-Covid è stato solo parziale (970 circa milioni in valore assoluto) rispetto alle perdite totali accusate nel corso del 2020 (prossime ai 2 miliardi). A confronto con il turnover del 2019, quello raggiunto nel 2021 è previsto ancora inferiore del -9,9%.

Nel 2021 il segmento uomo è stimato coprire il 17,5% della filiera Tessile-Moda italiana.

Con riferimento ai singoli micro-comparti qui esaminati, nel 2021 sono tutti interessati da un ritorno in territorio positivo; fa tuttavia eccezione il segmento delle cravatte, che, pur decelerando in maniera significativa rispetto al ritmo di caduta archiviato nel 2020, resta caratterizzato da una dinamica di segno negativo.

A fronte di una bassa crescita dei flussi di importazioni dall’estero, nel 2021 il valore della produzione (si ricorda che tale variabile si propone di stimare il valore dell’attività produttiva svolta in Italia, al netto della commercializzazione di prodotti importati), presenta un rimbalzo, stimato nella misura del +7,0% rispetto al 2020.

Il brusco stop (-16,7%) alla crescita delle esportazioni di moda uomo resta circoscritto al 2020; nel 2021, infatti, l’export torna prontamente interessato da un trend espansivo delle vendite estere. Per l’export si stima una variazione su base annua pari al +11,2%; il livello complessivo delle vendite estere passerebbe, dunque, a poco più di 6,5 miliardi di euro. L’incidenza dell’export sul fatturato totale del comparto risulterebbe, pertanto, pari al 71,3%.

Relativamente all’import, crollato del -20,2% nel 2020, si profila una crescita tuttavia ben più modesta rispetto a quella dell’export, stimata al +1,7% nei dodici mesi; l’ammontare totale delle importazioni settoriali passerebbe così sui 3,8 miliardi.

Visto il suddetto andamento degli scambi con l’estero, per l’attivo commerciale settoriale si prevede un incremento (stimato in 593 milioni in meno rispetto al consuntivo 2020); il surplus complessivo dovrebbe salire, infatti, 2.741 milioni nell’intero anno, in aumento anche rispetto al dato 2019.

Il commercio con l’estero nei primi nove mesi del 2021

Un quadro maggiormente dettagliato relativamente alle performance della moda uomo sui mercati internazionali si ottiene dall’analisi dell’interscambio con l’estero nei primi nove mesi del 2021. In tale periodo, sulla base dei dati ISTAT disponibili alla data di chiusura della presente Nota, sia le vendite estere sia le importazioni, dopo il cedimento del 2020, sono tornate interessate da dinamiche di segno positivo, quanto meno a livello complessivo di comparto.

Pur tuttavia a tale risultato si è giunti dopo un primo trimestre archiviatosi ancora in flessione (con export in calo del -13,6% e un import del -2,7%), ma anche dopo un secondo trimestre, in cui si è registra un rimbalzo dell’82,6% nel caso delle vendite estere e del +16,3% nel caso delle importazioni, confrontandosi d’altronde in larga parte con il periodo del primo lockdown 2020.

A seguito della fisiologica decelerazione della crescita profilatasi nel terzo trimestre (che del resto si confronta con un periodo di risalita nel corso del 2020) da gennaio a settembre 2021 – ultimo dato ISTAT disponibile alla data di chiusura della presente Nota – l’export di menswear mette a segno un +12,1% portandosi a quota 5,2 miliardi di euro, mentre l’import vede un aumento del +1,4%, per un totale di 3,5 miliardi circa.

Nel periodo in esame il saldo commerciale risulta di poco superiore a 1,7 miliardi di euro, mostrando, dunque, un incremento di quasi 510 milioni rispetto al dato dei primi nove mesi del 2020.

Sotto il profilo geografico, per le principali macro-aree si rileva un ritorno alla crescita ad eccezione delle forniture extra-UE: gli scambi UE crescono del +20,1% in termini di export e del +12,5% in termini di import; le piazze extra-UE, invece, presentano una crescita del +6,1% lato export e, viceversa, una contrazione del -6,0% lato import. Si ricordi che la UE assorbe il 45,8% dell’export, l’extra-UE il 54,2%; per le importazioni l’extra-UE assicura il 55,8%.

Circa le principali destinazioni, nel periodo in esame il primo mercato di sbocco del menswear made in Italy è risultato la Svizzera, principale hub logistico-commerciale del lusso, in aumento del +14,0%; tale Paese assorbe l’11,9% del totale esportato. Seguono, quindi, Germania e Francia, rispettivamente interessate da una dinamica del +19,8% e del +20,3%. L’export verso gli USA, quarto mercato, evidenzia una variazione positiva ma su ritmi meno vivaci rispetto ai primi tre mercati, guadagnando il +4,8%. Balza al quinto posto la Cina (nel gennaio-settembre 2019 era all’ottavo): le vendite di menswear verso tale nazione crescono del +68,8% rispetto allo stesso periodo del 2020. Restando in Asia, la Corea del Sud archivia un +27,6%.

In controtendenza rispetto al dato medio, il Regno Unito resta in territorio negativo e accusa una flessione non marginale pari al -31,7%. Inoltre, nell’ambito dei primi 15 mercati, contrazioni delle vendite colpiscono anche il Giappone, che cede il -8,2%, e Hong Kong, in calo del -3,1%, anche in conseguenza di una redistribuzione dei flussi con la Cina.

Gli altri Paesi presenti tra i top15, come indicato in Tabella 2, dalla Spagna ai Paesi Bassi, dalla Russia al Belgio, nonché Polonia e Austria chiudono i primi nove mesi del 2021 con una crescita delle esportazioni italiane di moda uomo, compresa tra il +62,0% e il +4,7%.

Al di là della valutazione su come hanno performato rispetto al 2020 i principali mercati del menswear italiano, risulta altresì interessante il confronto con i livelli pre-pandemici. Nei primi nove mesi del 2021 le vendite complessive di moda uomo risultano inferiori del -7,3% (404,3 milioni di euro in meno in termini assoluti) rispetto al valore del medesimo periodo di due anni fa. Sgranando maggiormente l’analisi e guardando ai singoli mercati, si rilevano, tuttavia, delle differenze, in quanto solo alcuni di questi hanno messo a segno un recupero rispetto al gennaio-settembre 2019. Le prime tre destinazioni – ovvero Svizzera, Germania e Francia – hanno sorpassato i livelli pre-Covid: la Svizzera del +7,0% (40,2 milioni di euro in valore assoluto), la Germania del +8,8% (47,5 milioni in valore assoluto), la Francia del +4,9% (25,4 milioni). La Cina è la destinazione che presenta la crescita più rilevante rispetto al medesimo periodo del 2019, segnando una variazione del +39,8%, ovvero di 100 milioni circa. Allo stesso tempo, l’export di moda uomo destinato ad Hong Kong cede il -33,3% rispetto al gennaio-settembre 2019, che si traduce in una perdita di 90,4 milioni di euro. La complessiva area Cina-Hong Kong guadagna quindi 9,6 milioni (+1,8%) nel periodo.

Al contrario, sempre soffermando l’attenzione sui primi 15 sbocchi, gli USA, il Regno Unito, la Spagna e il Giappone non hanno ancora colmato il gap. In particolare, gli USA sono su livelli inferiori del -24,4% rispetto ai primi nove mesi del 2020 (114,9 milioni di euro in valore assoluto); il Regno Unito mostra la situazione più critica con un divario del -46,6% (282,3 milioni di euro in meno). Spagna e Giappone presentano, infine, perdite piuttosto simili per entità rispettivamente del -16,5% e del -17,7% (ovvero di 54,9 e di 43,6 milioni di euro).

Tornando al 2021, relativamente ai mercati di approvvigionamento, la Cina si conferma il top supplier di comparto con un’incidenza del 14,0%, nonostante accusi una flessione del -12,7% a confronto con l’anno 2020 (flessione generalizzata a tutti i segmenti di prodotto di cui si compone la moda donna ad eccezione della pelle). Il Bangladesh, in seconda posizione, cede il          -8,6%. Pur tuttavia detti cali sono in parte compensati dall’incremento del +22,0% registrato dai Paesi Bassi, tradizionale ingresso per merci di provenienza asiatica, piuttosto che dal Belgio, in aumento del +13,0%.

La Francia, terzo fornitore, mostra la miglior dinamica tra quelle evidenziate dai primi 15 partner, crescendo del +29,7%. Anche la Spagna assiste ad un discreto aumento, contabilizzato al +20,2%. L’approvvigionamento dalla Romania cala del -8,1%, mentre quello proveniente da Tunisia, Turchia e Germania cresce rispettivamente del +3,1%, del +15,3% e del +6,3%. Anche gli altri supplier di minor peso, ovvero con un’incidenza compresa tra il 2,5% e il 2,0% del totale, presentano tutti variazioni positive.

A confronto con i livelli pre-Covid 19, le importazioni risultano inferiori del -18,2% (quasi 785 milioni di euro in meno).

Se si guarda alle performance per linea di prodotto, da gennaio a settembre 2021, si riscontra una ripresa generalizzata lato export con l’unica eccezione delle cravatte, mentre lato import si registrano ancora diverse flessioni. Relativamente alle vendite oltreconfine, la maglieria risulta best performer, sperimentando una variazione del +23,5%; lo stesso l’abbigliamento in pelle evidenzia una dinamica pari al +22,1%. Ritmi meno vivaci caratterizzano il vestiario esterno e la camiceria maschile, in crescita rispettivamente “solo” del +4,8% e del +3,5%. Di contro, non si arresta il cedimento delle cravatte, in calo di un ulteriore -22,4%. Rispetto ai livelli pre-pandemia, solo l’export di maglieria dimostra di aver superato le corrispondenti vendite (+6,2%); i restanti segmenti risultano tutti inferiori, con ad esempio il vestiario a -14,3% e la camiceria a -18,7%.

Nel caso delle forniture provenienti dall’estero, le importazioni di maglieria uomo si sono incrementate del +12,3%, quelle di confezione in pelle del +6,4%. Dinamiche negative interessano, invece, ancora la confezione (-6,0%), la camiceria (-10,2%) e ancora una volta le cravatte (-32,0%).

Consumi e distribuzione in Italia

Passando all’analisi delle dinamiche che hanno caratterizzato il consumo sul mercato nazionale, come noto, fortemente condizionato dai risvolti sociali della pandemia, la spesa destinata alla moda maschile nell’anno solare 2021, dopo il “crollo” dell’anno precedente, inverte il trend a partire dal bimestre marzo-aprile e nell’arco dei primi sei mesi dell’anno raggiunge una dinamica pari al +17,5%. Confermandosi in recupero, il sell-out è atteso crescere su base annua del +21,5%; resta, dunque, lontano (-15,0%) rispetto ai  livelli pre-Covid del 2019.

Con riferimento all’Autunno/Inverno, gli ultimi dati consuntivi disponibili ad oggi riguardano la stagione 2020-21, periodo questo in gran parte caratterizzato dal cosiddetto secondo lockdown e dalle restrizioni alle attività commerciali sulla base di colori delle Regioni. Secondo quanto rilevato da Sita Ricerca per conto di SMI, il Tessile-Abbigliamento nel suo complesso in tale periodo era stato caratterizzato da un trend fortemente negativo a valore (-20,6%), nonché a volume (-14,8%), anche se in decelerazione rispetto alla P/E 2020 (archiviatasi con -36,3% a valore e -29,9% a volume).

Focalizzandosi sulla moda maschile, come indicato in Fig. 2.1, da settembre 2020 a febbraio 2021 il comparto nel suo complesso aveva accusato una flessione molto accentuata pari al          -28,5%. Se si guarda alle singole merceologie, la confezione maschile (che copre il 54,7% del sell-out settoriale) si era contratta in linea con la media di comparto, ovvero nella misura del       -28,7%, mentre la maglieria esterna (che copre il 27,6% del mercato, guadagnando un punto percentuale rispetto alla precedente A/I) aveva perso il -25,8%. Le vendite di camiceria avevano ceduto il -30,1%, mentre confezione in pelle e cravatte, pur minoritari in termini di quota sul totale mercato (1% ciascuno), avevano accusato le flessioni di maggior entità rispettivamente pari al -37,0% e al -46,7%.

Dall’analisi delle dinamiche relative ai volumi emerge un quadro altrettanto grave. I volumi venduti di maglieria maschile si erano contratti del -22,5%, mentre l’abbigliamento aveva assistito ad un decremento nella misura del -19,5% rispetto ai volumi della precedente A/I. Maggiori difficoltà si erano riscontrate per la camiceria, in perdita del -28,0%, mentre le cravatte erano diminuite del -47,6% in quantità. Infine, la confezione in pelle aveva registrato una variazione del -32,2%.

Nel medesimo periodo, relativamente alla distribuzione, come illustrato nella Fig. 2.3, il canale con la maggior quota di mercato si erano confermate le catene (42,5% a valore), seguite da GDO (20,1%) e dal dettaglio indipendente (sceso al 19,9%). Il canale digitale era, invece, salito al 13,2%; del resto nell’A/I 2020-21 l’unico format interessato da dinamiche di segno positivo era stato proprio l’e-commerce, in aumento del +8,6%.

Di contro, gli altri principali canali hanno accusato perdite di rilievo, incluse le catene e la GDO: questi due format hanno ceduto entrambi quasi il -30,0%. Era stato tuttavia il dettaglio ad accusare la variazione di entità più grave, pari al -40,5%.

Stante l’incertezza legata all’evoluzione dell’emergenza sanitaria nel Mondo, il 2022 si profila ancora come un anno non privo di ostacoli e minacce per la moda maschile italiana, che potrà comunque giovarsi del maggior favore riservato al segmento lusso.

 

 

 

 

 


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