Moda, Tessile, Abbigliamento

La ricetta di Tronconi (Sistema Moda Italia): “Tornare a produrre in Italia”

aprile 12 | Pubblicato da Luigi Sorreca | Biella, Carpi, Como, News, Prato

 

“Per stimolare l’industria tessile-moda, uno dei settori portanti dell’economia nazionale, bisogna rendere conveniente la produzione in Italia. Solo così arriverà quell’inevitabile incremento delle esportazioni che è la leva per il rilancio dell’intero Paese”.

Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, di internazionalizzazione se ne intende: del resto, sia il tessile sia l’abbigliamento sono risultati leader nella classifica della competitività mondiale 2011 secondo un’elaborazione della Fondazione Edison. Segno che le imprese, seppur in larga parte di piccole e medie dimensioni, non hanno smesso di rimboccarsi le maniche andando a caccia di business oltreconfine: dagli stilisti che sfilano in passerelle in un’incredibile overdose mediatica alla microimpresa tessile, magari specializzata in fasi della lavorazione che nessuno è mai stato in grado di riprodurre.

Il tema delicato dello sviluppo è legato alla delocalizzazione, un vocabolo che è un po’ tabù nel settore: nessuno parla volentieri del decentramento della fabbricazione in Paesi a minor costo della manodopera. Ma il nodo è proprio quello. “Se non si fa nulla per sospingere la produzione interna – aggiunge Tronconi – quello che viene realizzato all’estero non solo non crea valore aggiunto ma neppure occupazione”.

“Purtroppo sul carico fiscale del lavoro tutto ciò di cui si parla non prospetta alcun allentamento dei costi, mentre sull’energia, altro fattore prioritario, sta succedendo il peggio, con un’inevitabile compressione su margini già risicati. Insomma, l’attività produttiva in questo momento “è fortemente scoraggiata”.
Il mondo della moda, peraltro, ha anche altre peculiarità distintive rispetto al settore manifatturiero in generale: il presidio delle fasce più alte del mercato garantito dai big brand del lusso, siano essi italiani o controllati da colossi stranieri che, però, sono percepiti come made in Italy dai consumatori.
Ci sono segmenti – segnala il presidente di Smi – che per definizione operano in no price competition: soprattutto sui mercati esteri, vincono il marchio e la qualità del prodotto soprattutto se abbinati a un prezzo alto. Una tendenza che vale in particolare sui mercati della Federazione russa ma anche su quello cinese: i clienti vogliono il prodotto di un certo brand come esibizione di uno status symbol di cui gli altri, parenti, amici, colleghi e concorrenti, conoscono bene il valore. Il problema è che questi marchi importanti cercano spesso di ribaltare il concetto comprando al minimo prezzo il meglio della produzione in termini di qualità e servizio. E se le piccole imprese della filiera non ce la fanno, i superbrand riorientano le proprie reti produttive fuori dall’Italia, finendo per esportare prodotti che non sono, di fatto, made in Italy”.

In pratica, quel sistema a rete che è stato per decenni – e potrebbe continuare a essere – la vera forza del sistema moda italiano rischia di finire in soffitta proprio a causa della sua mancanza di competitività. Invece, la filiera andrebbe rinsaldata e utilizzata “al servizio” dei colossi della moda e del lusso, che stanno vendendo a mani basse gli oggetti del desiderio griffati ai clienti delle classi più ricche (e, con oggetti entry price, anche a quelli della classe media).
Sullo sfondo pesa sempre come un macigno l’Irap, «un’imposta distorsiva – precisa Tronconi – che scoraggia la produzione sul territorio nazionale favorendo la delocalizzazione. Viviamo un momento complicato e il Governo dovrebbe avere più coraggio nel rendere conveniente l’intraprendere, attraverso incentivi automatici e non certo sussidi a pioggia, che rischiano di nascondere forme di corruttela, magari concedendo un ritorno fiscale o parafiscale alle imprese che partecipano a reti di produzione ed esportazione. Altro che articolo 18”.

 


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