Moda, Tessile, Abbigliamento

Marco Landi candida la filiera italiana quale pioniere di una produzione tessile moda e dei jeans circolare.

settembre 8 | Pubblicato da Luigi Sorreca | News

Sì è conclusa  lunedì 6 settembre, la prima edizione di GenovaJeans, la manifestazione promossa dal Comune di Genova e patrocinata da CNA Federmoda che ha visto l’organizzazione di convegni, incontri, animazioni e spettacoli.

L’Italia può assumere un ruolo primario nel settore della moda e nella circolarità: più di 470 mila addetti, circa 58 mila aziende, più di un milione di addetti se considerato l’indotto della distribuzione, è un settore sempre più importante che contribuisce alla sostenibilità sociale ed economica – ed ambientale – dell’intero Sistema Paese.”. Lo ha detto il presidente nazionale di CNA Federmoda Marco Landi intervenendo a Genova all’incontro ‘I jeans e l’economia circolare’, organizzato per domenica 5 settembre nell’ambito della manifestazione GenovaJeans,  atte a valorizzare la città come polo della innovazione, della ricerca e dello sviluppo sostenibile in Europa.

Il panel ha illustrato le origini italiane e genovesi del jeans, aprendo al futuro interamente circolare del settore. I presenti al tavolo, i più importanti rappresentanti di settore, operano nel riciclo e per la seconda vita dei materiali, oltre che nell’innovazione della “terza vita”, ossia l’applicazione di materiali smart al design di prodotto.

È il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani a tracciare il ruolo cruciale del settore del jeans, e del tessile-moda in generale, nel raggiungimento degli obiettivi presenti e futuri che avvieranno verso il percorso europeo Net Zero. I target sono fissati:

-   Entro il 2030, il 72% dell’energia sarà prodotta da fonti rinnovabili;

-   Entro il 2030, riduzione del 55% delle emissioni di  rispetto al 1990, ed emissioni nette zero entro il 2050;

-   Entro il 2030, rimodulare le politiche sui rifiuti: costituire dei sistemi efficienti di raccolta differenziata tali da raggiungere il 65% di riciclabilità dei rifiuti, il 25% di valorizzazione e trasformazione per le frazioni non riciclabili, e il conferimento dei rifiuti in discarica per un massimo del 10%.

Secondo Cingolani, la manifattura tessile nostrana è già perfettamente inserita all’interno delle strategie di riduzione ed efficientamento energetico, e di implementazione dei modelli di business circolari.

Tuttavia, nessuno deve essere lasciato da solo, e, come sottolineato dal Ministro, gli ostacoli burocratici non possono limitare lo spazio di azione presente minando l’attività futura: la transizione ecologica necessita di essere affrontata in modo pragmatico e partendo dalle maggiori fonti di emissioni, tra le quali compare proprio il comparto del tessile-moda.

A tal scopo, è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Piano che si inserisce all’interno del programma Next Generation EU, a fornire uno strumento di supporto. Esso presenta un miliardo e mezzo destinato agli impianti pensati per il ricircolo del ventunesimo secolo, oltre che 600 milioni per le filiere hard to abate, ossia per i settori dove la decarbonizzazione è più ostica per via delle caratteristiche produttive, come ad esempio l’industria tessile.

Ma è proprio CNA Federmoda, invitata dell’amministrazione comunale di Genova in qualità di rappresentante di tutti gli anelli della filiera, ad essere chiamata ad illustrare lo stato di circolarità del sistema moda in Italia, i bottleneck, e il perché la filiera abbia un ruolo fondamentale in questa sfida.

Il presidente Marco Landi ha sottolineato quanto il sistema-Italia si localizzi in una posizione di vantaggio proprio in funzione di una filiera del tessile-moda che, nonostante le difficoltà, risulta essere ancora intatta: ciò può favorire processi di trasparenza e tracciabilità e creare un nuovo made in Italy fondato sulla vera sostenibilità. La tradizione settoriale capitalizza tale status. Parlando di “cenci” e di moda, il percorso della circolarità è iniziato secoli fa con il riciclo nel distretto di Prato, e prosegue con la diffusione del cardato della lana, e non solo.

Tuttavia, è necessario l’incontro tra politica ed industria per trovare soluzioni efficienti al fine di entrare definitivamente nel secolo della circolarità. Di fatto, l’attuale stato dell’arte nell’ottica della circolarità inibisce le imprese nel costruire innovazione sostenibile.

Tutt’oggi la redditività economica dei modelli di business circolari non è garantita dai meccanismi di mercato per via della scarsa marginalità e ricettività del mercato nei confronti del prodotto circolare. Inoltre, l’ostacolo burocratico nell’assenza di una armonizzazione della normativa ambientale e di criteri ‘end of waste’ settoriali rappresenta la principale criticità che inibisce le imprese: gli investimenti in impianti industriali nell’ottica della circolarità non sono garantiti finché non si avrà la sicurezza di ciò che è rifiuto e quale sia la sua cessazione. Il terzo punto è richiamato nell’annoso problema del deficit di reti impiantistiche destinate al trattamento/ valorizzazione dei rifiuti in cui vengono effettuate le operazioni di raccolta, selezione e trattamento dei rifiuti tessili.

Come sistema-Italia e con una capacità superiore rispetto agli altri paesi, vi sono tutte le prerogative, partendo dai distretti industriali artigiani della moda, di implementare la sostenibilità, filiere e percorsi tracciabili, con i quattro pilastri per una produzione dei jeans, e del tessile-moda, pienamente sostenibile:

-   Durabilità: mentre una delle leve è l’educazione industriale in quanto il produttore deve assicurare la durabilità fisica e la resistenza tecnica dei materiali, in egual modo è fondamentale l’educazione del consumatore finale che deve valorizzare la durabilità emotiva, ossia la qualità intrinseca del prodotto e il periodo di utilizzo;

-   Salubrità dei materiali: sistemi agricoli rigenerativi e distretti produttivi che preservino l’integrità degli ecosistemi e salvaguardino la salute e i diritti dei lavoratori.

CNA Federmoda ribadisce la centralità della sostenibilità sociale: la caratteristica labour-intensive del settore fa sì che esso sia spesso oggetto di fenomeni di distorsione del mercato. La declinazione sostenibilità-globalizzazione necessita di essere affrontata con estrema urgenza per una piena eticità della catena del valore del jeans, settore particolarmente colpito da fenomeni di dumping sociale ed ambientale: si pensi alle fasi di lavorazione estremamente dannose per la salute dei lavoratori come la sabbiatura che vengono affidate e delocalizzate in paesi in cui la regolamentazione è maggiormente permissiva rispetto a quella dell’Unione Europea; oppure le sempre più significative denunce di lavoro forzato che vengono messe in evidenza da attori della società civile;

-   Circolarità della produzione e riciclabilità dei materiali impiegati: le PMI e le imprese artigiane italiane sono attente a creare non solo valore economico ma anche sociale ed ambientale, con particolari esempi di leader di settore come il distretto di Prato candidato hub europeo del riciclo del tessile;

-   Tracciabilità: presidio di controllo a tutela della trasparenza e dell’effettivo monitoraggio della filiera per il quale la nostra filiera possiede un vantaggio competitivo poiché essa è intatta, ciò facilitando la costituzione di reti e di percorsi di regole applicabili e condivise per tutti.

La circolarità è non solo futuro, ma immediato presente. L’Italia può candidarsi per capeggiare tale percorso e per portare avanti una linea guida per via di una capacità di filiera e di aggregazione superiore a tanti altri paesi: la facilitazione degli accordi tra i vari anelli della filiera possono agevolmente apportare a chiudere la catena e a renderla trasparente, per riuscire a trovare la marginalità per tutto il settore e non lasciare indietro nessuno.

Oltre al patrocinio e a portare contributi nell’ambito del dibattito delle giornate di GenovaJeans, CNA Federmoda ha lanciato last minute una ulteriore call di partecipazione verso altre imprese oltre quelle coinvolte dagli organizzatori della manifestazione portando a partecipare i brand: Dafné Sanremo, Hamaki-ho, Par.Co Denim, Takeshy Kurosawa attraverso una esposizione dedicata in via di Pré 129.

Identità, tradizioni ed etica sono le parole chiave per la Maison DAPHNÉ di Sanremo che compie un viaggio tra materiali tessili, ricami, antiche stampe e abiti d’epoca di fine pregio per creare collezioni originali che testimoniano la volontà di promuovere la qualità ed i valori dell’autentico Made in Italy. Il brand Ligure ha fatto delle bellezze del territorio un valore, con la capacità di incorporare nella materia e nel prodotto un’alta dimensione estetica.

Oggi l’azienda, alla seconda generazione, ha l’obiettivo di unire la tradizione artigiana all’innovazione, per raggiungere il prodotto d’eccellenza. Un’evoluzione dove si antepone la qualità sulla quantità e la mano dell’artigianato sulla produzione in serie, per creare un prodotto ben fatto e durevole nel tempo, dove l’uso di tessuti tecnici e le lavorazioni dell’alta sartoria si uniscono alla “mano” inimitabile delle fantasie botaniche firmate DAPHNÉ.

Hamaki-Ho un nome dal sapore giapponese che deriva dal termine usato per identificare i distretti di Kyoto in cui risiedevano le Geishe, cioè “coloro che esibiscono l’arte” attraverso le discipline artistiche: Hamaki è infatti una versione più morbida di questa parola, mentre il suffisso “Ho” è un riferimento alla Miyagawa-Quarto Cho. Creatività e gusto, ma anche sintonia con l’evoluzione della società e le sue necessità che mutano al mutare della socialità e dei cambiamenti climatici, questo è il concetto di base del marchio. Linee e forme pulite, innovazione ma anche rivisitazione di temi passati utilizzando materiali e filati diversi per rispondere alle esigenze della clientela, questo è il modo in cui Hamaki-Ho promuove le sue origini che si basano sullo stile italiano e sulla sartoria napoletana dando vita ad un’anima cosmopolita in continua evoluzione.

Par.Co Denim è un Ethical & Sustainable fashion brand nato a Bergamo con la missione di ripensare la catena produttiva del denim per renderla più etica, grazie all’ expertise dei fondatori in ambito denim e innovazione. Ogni fase della filiera è corta, certificata e trasparente: artigianalità e sostenibilità ambientale – oltre che sociale – sono i valori fondanti. I capi vengono prodotti, tagliati e assemblati da piccoli artigiani locali che si trovano in un raggio di 40 km dalla sede operativa, con cui vengono instaurate relazioni di fiducia e di crescita comune. I tessuti sono innovativi e garantiti da due dei più importante standard internazionali per la produzione sostenibile: il cotone biologico è certificato “Global Organic Textile Standard” mentre il tessuto rigenerato è certificato “Global Recycle Standard”. Tutti gli indumenti sono inoltre certificati come Animal Free dall’Associazione LAV (Lega Anti Vivisezione).


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