Reverse charge e IVA all’importazione equivalenti
ottobre 5 | Pubblicato da Luigi Sorreca | EconomiaLa Corte di Cassazione -sent. 16109/2015 -accoglie solo parzialmente il ricorso delle Dogane sull’equivalenza tra reverse charge e IVA all’importazione
Il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale per la quale uno Stato membro richieda il pagamento dell IVA all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata con il meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione contabile del soggetto passivo. L’Iva all’importazione ed il meccanismo del reverse charge, tranne nel caso in cui sia dimostrata l’esistenza di una frode, sono sistemi di assolvimento dell’Iva equivalenti. L’autofattura emessa del soggetto passivo non costituisce infatti una mera operazione neutra di compensazione bensì un vero e proprio pagamento opponibile all’ufficio doganale . Queste le conclusioni della Corte di Cassazione nella sentenza n. 16109 del 29 luglio 2015.
IL CASO
Una società di capitali, nell’esercizio dell’attività professionale di spedizioniere e gestore di un deposito fiscale ai fini IVA ha assistito alcuni importatori nelle operazioni di importazione di merci provenienti di Paesi Terzi: la merce venne dichiarata essere destinata al deposito IVA con conseguente sospensione del pagamento dell’IVA all’importazione.
L’Iva veniva successivamente assolta dagli importatori all’atto dell’estrazione della merce dal magazzino in regime di reverse charge, con emissione di autofatture.
L’accertamento dell’Agenzia delle Dogane ha riguardato il mancato assolvimento dell’IVA all’importazione in ragione della verifica compiuta, dalla quale emergeva che alcune partite di merci importate da paesi extra UE non erano mai state materialmente introdotte nel deposito pur avendo usufruito della sospensione del pagamento dell’IVA.
Secondo l’Agenzia delle Dogane, infatti, non sono assimilabili Iva all’importazione e Iva interna, soprattutto in ordine ai sistemi di assolvimento dell’imposta: la prima, costituente un diritto di confine facente capo alla Comunità, è infatti correlata all’importazione delle merci in dogana ed è esigibile in quel momento, a fronte di un sistema dell’IVA nazionale correlato all’auto liquidazione, al versamento dell’imposta per massa di operazioni attive e passive e alla dichiarazione relativa al periodo d’imposta. Un ulteriore elemento di fatto è che le merci erano state introdotte nel deposito pur avendo fruito della sospensione del pagamento del tributo.
La Ctr, confermando il verdetto di primo grado, respingeva l’appello dell’Agenzia delle Dogane, evidenziando che la materiale introduzione dei beni nel deposito IVA contestata alla contribuente non era prevista espressamente da alcuna disposizione; inoltre la diversità fra IVA all’importazione e IVA interna sostenuta dall’Ufficio era in stridente contrasto con il principio di neutralità, generando una duplicazione di imposta.
Quanto alle sanzioni per omesso versamento, secondo la Ctr le stesse non si applicano quando i versamenti siano stati tempestivamente eseguiti presso un Ufficio diverso da quello competente.
Col successivo ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Dogane denunciava la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis. Secondo la ricorrente, infatti, la disposizione impone di ritenere l’immissione effettiva della merce nel deposito ai fini IVA per godere dei benefici da essa previsti: il termine “custodia” utilizzato dall’art. 50 bis presuppone la materiale immissione della merce in un luogo fisico idoneo alla conservazione; a supporto di tale tesi vengono richiamate diverse sentenze della Cassazione del 2010.
Inoltre la CTR aveva considerato come violazione formale la mancata introduzione nel deposito IVA ancorché l’art. 201 CDC indicasse come violazione sostanziale ogni violazione che comportava l’irregolarità dell’operazione doganale; Doveva quindi ritenersi applicabile la sanzione per omesso versamento prevista dall’art. 13 del D.L.gs. n. 471 del 1997.