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Web Tax: la nuova Imposta sulle transazioni digitali

febbraio 2 | Pubblicato da Luigi Sorreca | Economia

L’imposta non si applicherà qualora i prestatori di servizi indichino (in fattura o altro documento idoneo, anche individuato in base all’emanando decreto Mef) di non superare le 3.000 transazioni in un anno (c. 1013).

Modalità applicative e commento

Modalità applicative

Fermo restando che l’imposta andrà versata entro il giorno 16 del mese successivo a quello del pagamento del corrispettivo, gli altri adempimenti (modalità versamento, dichiarazione, eventuali altri casi di esonero, ulteriori modalità di attuazione della nuova disciplina) saranno stabiliti con il già citato decreto Mef da emanarsi entro aprile 2018. Per quanto riguarda invece i profili di accertamento, sanzioni, riscossione e contenzioso, il comma 1016 specifica che si applicano le disposizioni Iva, per quanto compatibili.

Non viene specificato se gli obblighi dichiarativi incomberanno su entrambi i soggetti o solo su uno di essi. Il fatto che l’eventuale esonero debba essere indicato dal prestatore in fattura lascia comunque intuire che debba prevedersi una analoga ordinaria indicazione, sempre in fattura, dell’imposta dovuta, anche per consentire in contabilità la corrispondenza tra importo della fattura e importo riscosso. Ciò porta a presupporre che il prestatore sarà chiamato a dichiarare la Web tax di cui ha subìto il prelievo nel corso dell’esercizio.

Tuttavia anche il committente, in quanto soggetto versante dell’imposta all’erario, sarà comunque con tutta probabilità anch’esso chiamato ad assolvere degli obblighi dichiarativi circa la Web tax versata.

Profilo generale e commento

L’imposta si applicherà indistintamente alle prestazioni di servizi resi da imprese italiane ed estere. Il tributo, pur avendo la struttura di un’imposta indiretta (significativo in tal senso è rimando alla normativa Iva effettuato dal comma 1016), nasce in effetti quale strumento per prelevare quote di reddito ai soggetti non residenti che, attraverso la prestazione di servizi immateriali via Internet, producono profitti nel nostro paese senza pagare Irpef/Ires, in quanto privi di stabile organizzazione (2), anche se ciò andrà a costituire un appesantimento tributario per i contribuenti italiani che già pagavano l’Irpef/Ires sul proprio fatturato digitale. Per quanto concerne l’Iva, infatti, nei rapporti c.d. B2B (“business to business”: entrambi gli operatori sono soggetti passivi dell’imposta sui consumi) in cui l’acquirente è residente in Italia, l’Iva viene in ogni caso assolta nel nostro paese, sia in modalità classica (se il prestatore è anch’esso residente in Italia), sia nella modalità del reverse charge (se il prestatore è stabilito in un paese Ue o extra-Ue).

L’introduzione di tale nuova imposta è l’esito di un lungo dibattito sulla opportunità di tassare la web economy: significativa in tal senso è la dichiarazione congiunta dei ministri economici di Francia, Germania, Italia e Spagna del 9 settembre 2017. (3)

Questa tendenza politica trova inoltre significativo riscontro nel comma 1010 , il quale modificando l’art. 162 Tuir sulle stabili organizzazioni, introduce una nuova modalità di individuazione delle stesse, basato non più solamente su una presenza fisica nel territorio, bensì su “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.” (4)

E’ evidente l’intenzione di dare rilevanza fiscale al volume d’affari del commercio elettronico diretto praticato dai soggetti non residenti, per prelevare imposte sui profitti che ne scaturiscono. Questa novella legislativa sarebbe già stata di per sé sufficiente per attrarre nelle maglie del fisco i profitti dei big del web, ma evidentemente le ipotetiche difficoltà pratiche relative ai contraddittori tra amministrazione finanziaria e companies sull’effettivo riconoscimento della predetta “significativa e continuativa presenza economica” hanno indotto il legislatore ad accompagnare tale provvedimento con l’istituzione di un tributo ad hoc, prelevato alla fonte.

La norma in esame presenta un aspetto controverso relativo al rispetto del principio costituzionale della capacità contributiva. Non viene previsto, quale parametro applicativo, il volume d’affari espresso in euro, bensì il parametro della quantità di transazioni effettuate (oltre 3.000); in tal modo, a seconda dell’importo delle singole transazioni, potrebbero verificarsi distorsioni tra soggetti assoggettati e non assoggettati (il numero delle transazioni, considerato da solo, non garantisce infatti equivalenza tra i volumi d’affari). Sarebbe stato in tal senso più opportuno fissare un importo in euro (al di sotto del quale l’imposta non fosse dovuta), quale parametro per i prestatori/venditori sulla base del volume d’affari dell’anno precedente, con possibilità tuttavia per gli stessi contribuenti di modificare la propria posizione in corso d’anno od alla fine dello stesso in relazione al volume d’affari effettivo (prevedendo la compensazione in F24).

 


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