Moda, Tessile, Abbigliamento

Dalla lana sucida italiana un fatturato potenziale di 450 mln

marzo 27 | Pubblicato da Luigi Sorreca | Biella, News, Prato

La lana sucida italiana, ossia la lana ‘sporca’ appena tosata e che deve ancora essere sottoposta a lavaggio, se invece di essere trattata come un rifiuto fosse impiegata nel tessile, potrebbe generare un fatturato di ben 450 milioni euro, 27 dei quali provenienti dalla tosatura degli ovini sardi presenti sul territorio toscano.

Sulle potenzialità della lana sucida se ne parlerà il 27 marzo prossimo a Firenze nel convegno sul progetto Filiera del tessile Sostenibile che si terrà nella Sala Verde al Palazzo Incontri di banca CR Firenze.

Questo tipo di lana è oggi è considerata un rifiuto e costituisce un costo per i pastori e per l’ambiente. È una lana più rustica rispetto alle lane importate dall’estero ed ha fibre dal micronaggio più alto, ma presenta importanti punti di forza: ha buone caratteristiche tecniche e il suo utilizzo permetterebbe di costruire una filiera interamente tracciabile sul territorio nazionale, una caratteristica sempre più richiesta dai consumatori che potrebbe contribuire ad un maggior valore aggiunto dei prodotti finali in un settore da anni in crisi.

Al convegno parteciperanno Giampiero Maracchi della Fondazione per il Clima e la Sostenibilità (FCS), Pier Francesco Pacini, presidente di Confindustria Toscana, Massimiliano Dibitetto del Consiglio Nazionale delle Ricerche e da Enrico Ciabatti Segretario Generale di Unioncamere Toscana. “Vogliamo dimostrare – sottolinea il professor Maracchi – che il tessile sostenibile può essere veicolo di progresso e innovazione, tutela ambientale, valorizzazione del territorio e delle sue risorse naturali, sostegno del mestiere artigiano con piena soddisfazione dell’utente finale”.

Secondo lo studio, presentato al convegno, del Coordinamento tra Enti per la Ricerca Sociosanitaria (CERIS), l’utilizzo della lana rustica porterebbe un notevole valore aggiunto lungo tutta la filiera. Gli allevatori vedrebbero riconosciuta economicamente una materia che oggi è trattata come un rifiuto: le pecore in Italia sono oltre 6 milioni, la produzione di lana sucida (appena tosata) è di 8.600 tonnellate (fonte ISTAT 2011, ma non è considerato il sommerso). L’attuale valutazione di questa lana va da 0 a un massimo di 0,40 euro al chilo, quindi produce ricchezza per poco più di 3 milioni di euro.

La potenziale valutazione della lana sucida, se di qualità migliore (meno sporca, meglio tosata), può arrivare a 0,90 euro al chilo producendo fatturato per quasi 8 milioni di euro e quindi portando nelle casse degli allevatori il 125% in più rispetto alla massima quotazione odierna. Immettendo la lana nelle imprese del tessile e giungendo alla produzione di capi di abbigliamento di qualità, creando canali di commercializzazione italiani ed esteri, il potenziale fatturato della vendita capi di abbigliamento arriva fino a 27 milioni di euro per la sola lana sarda prodotta in Toscana e 450 milioni di euro per il complesso di lana rustica italiana.

Inoltre un Kg di lana rustica, che oggi contribuisce al PIL per un massimo di 0,40 euro, immesso nella filiera sarebbe valorizzato tanto da produrre ricchezza per 54 euro. La schedatura di un centinaio di casi ha permesso di raccogliere le risposte di oltre 900 consumatori. “Tutti – evidenzia Elena Pagliarino del CERIS-CNR – hanno evidenziato le potenzialità del mercato di abbigliamento in lana rustica ancora totalmente inespresse in termini di target e di posizionamento”.

In Toscana si stima che ogni anno siano prodotte circa 500 tonnellate di lane sucide, di cui quasi il 75 – 80 % di tipo sardo. Si stima, ancora, che solo il 65 – 70 % trovi uno sbocco nell’export soprattutto verso la Cina e l’India per la produzione di tappeti rustici, filati per maglieria grossolani, riempitivi di materassi. La quota restante non trova canali commerciali remunerativi per una serie di problemi che dipendono, in parte, dall’attuale legislazione sulla gestione delle lane dopo la tosa e, in parte, dalla struttura agricolo-pastorale di tanti piccoli e piccolissimi allevatori.

Per valutare la possibilità di un utilizzo di questa lana è stata incaricata una società privata con sede nel distretto tessile di Prato, la RS, con un know-how quarantennale nel campo della ricerca e del trasferimento tecnologico in ambito tessile e abbigliamento. Dopo oltre due anni di prove tecniche su scala semindustriale, sono stati ottenuti primi risultati che costituiscono una vera novità nel campo. La lana sarda differisce dalle più note lane merinos per la sua struttura in gran parte grossolana e per questo la relativa lavorazione aveva consentito, finora, solo la realizzazione di filati grossi (in misura di titolo Nm 5 oppure 6) da cui, poi, derivano tessuti duri ed ispidi sul tipo del più classico orbace.

Applicando su tutta la filiera sistematici criteri di gestione e controllo e recuperando modalità di lavorazioni usate nel passato con le lane grossolane, è stato possibile ottenere filati cardati relativamente fini (Nm 10-11) e filati pettinati fino a titolo Nm 16. Sono stati così realizzati tessuti per abbigliamento con cui confezionare caldi capospalla, eleganti maglierie ed accessori moda di sicuro richiamo. Sono stati realizzati anche primi prototipi di tessuti stampati con l’ink-jet, di notevole richiamo anche sotto un profilo tecnico, e primi tessuti per arredamento.


Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!
Realizzazione sito MB web designer | Powered by Master elettronica S.r.l.