Tessile sostenibile: la strategia europea (di Antonio Mauro – dal n. 2/24 di ACAMPIONE scaricabile qui)
gennaio 22 | Pubblicato da Luigi Sorreca | News, PratoIn questo editoriale riprendiamo quanto già esposto nel precedente circa i cambiamenti in atto, ma entrando piuttosto nel merito, ossia su quegli aspetti che maggiormente incideranno sul mondo tessile e, di conseguenza, su quello della nobilitazione.
A Bruxelles, a fine marzo, la Commissione ha approvato la Strategia Europea per il Tessile Sostenibile, strategia che andrà a condizionare come una vera e propria rivoluzione tutto il mondo tessile e il suo modo di produrre. Tutti saranno chiamati a cooperare ed entro il 2030, con una partecipazione volontaria o attraverso la legge, gli obiettivi previsti dovranno essere raggiunti. La previsione di un coinvolgimento di imprese, di cittadini-consumatori e Governi non poteva essere più totale. La strategia è, al momento, rappresentata da un documento alquanto articolato i cui punti fondamentali sono almeno sette e così riassumibili: 1) Progettazione ecocompatibile attraverso il rispetto di requisiti obbligatori; 2) I capi invenduti non potranno più essere distrutti; 3) Abbattimento delle microplastiche; 4) Obbligo di informazione dei consumatori attraverso il Digital Product Passport; 5) Uso vietato di false dichiarazioni “green”; 6) Introduzione della responsabilità estesa dei produttori per favorire il recupero dei manufatti tessili a fine vita; 7) Divieto di esportazione dei rifiuti tessili. Infine, non è neppure trascurata la tutela dei lavoratori, specie di quelli che operano nelle fasi di subfornitura con minore tutela dei propri diritti. Ma circa questo punto, esistendo approcci di legiferazione diversi, detto aspetto sarà demandato ad uno specifico regolamento, quello della Corporate Sustainability Due Diligence. In altre parole, l’impegno dell’impresa circa il rispetto dei diritti umani nei luoghi di lavoro. Si tratterà di un regolamento che, a quanto sembra, dovrebbe interessare in questa fase iniziale solo le grandi aziende, quelle con più di 250 dipendenti e oltre 40 milioni di euro di fatturato. È noto che tra queste si annoverano molti brand del mondo tessile.
Facile prevedere un’estensione anche alle imprese di minori dimensioni per meccanismi contemporanei di pressione sociale, diffusione di pratiche ed anche di autopromozione. Tuttavia, riprendendo il tema della strategia per il tessile sostenibile, su cui A Campione si riserverà di entrare nel merito con specifici articoli, non sembri che i punti citati siano solo slogan ad effetto.
Gli uffici preposti della Commissione stanno già lavorando alla stesura di specifiche normative che dovrebbero essere varate, passo dopo passo, entro tutto il 2025. Ma, allora, quali sono gli obiettivi previsti per il 2030? I cittadini europei dovranno potere acquistare manufatti tessili di cui le nuove etichette dovranno garantire longevità anche rispetto ai cambiamenti della moda; riciclabilità prevista fin dalla fase progettuale del prodotto stesso; fabbricabilità anche con fibre riciclate ed assenza di sostanze pericolose (da cui un REACH sempre più stringente); lavorabilità nel totale rispetto dell’ambiente in senso lato e dei diritti dei lavoratori presenti in tutta la filiera. Come si diceva fin dall’inizio, l’insieme di questi aspetti costituisce una vera e propria rivoluzione nel modo di produrre il tessile. Rivoluzione di una tale portata e complessità che solo in parte potrà essere paragonata a quella indotta dalla rivoluzione industriale con l’introduzione diffusa delle macchine accoppiate ad ingenti disponibilità di energia elettrica. Le commissioni tecniche ora ed il Legislatore europeo poi, ma a breve, stanno, infatti, progettando un futuro prossimo in cui la riutilizzazione o la riparazione dei vestiti o di altri manufatti tessili dovrà prevalere sul “compro nuovo”; i produttori saranno ulteriormente messi in concorrenza attraverso la capacità di realizzare articoli corrispondenti a queste attese; non ultimo, gli stessi saranno responsabili lungo tutta la filiera compresa quella del trattamento del manufatto diventato rifiuto. Soprattutto il riciclo delle fibre, sintetiche e naturali, diventerà strategico quale risposta rispetto alla scarsità o difficoltà di approvvigionamento delle materie prime vergini, alla riduzione dell’inquinamento derivante dalla relativa produzione e alle nuove politiche di import-export conseguenti alle trasformazioni in atto dei grandi blocchi geopolitici. In termini filosofici, ma soprattutto pratici, tutto questo cosa potrebbe significare, almeno in prima approssimazione, per le aziende del settore? La risposta, quella di oggi, sarebbe costituita da una sostanziale decrescita del sistema moda o, almeno, del sistema moda cui siamo stati abituati finora. Subito emerge il comprensibile timore di minori volumi di produzione, di perdita di quote di mercato, di riduzione di fatturati, di perdita di posti di lavoro. È possibile tutto questo? Si tratta di domande che non si possono eludere a priori. Ci si deve, però, anche domandare a cosa è dovuta la necessità di questa rivoluzione cui la UE sta lavorando. Sotto i nostri occhi sono evidenti gli effetti disastrosi indotti dai cambiamenti climatici, da uno sfruttamento esteso dei suoli, da un accumulo ipertrofico di rifiuti e, in tutto questo, un ruolo non trascurabile è giocato proprio dalle industrie tessili. Ne consegue ciò che diceva un vecchio adagio “di necessità fare virtù” che, in termini più dotti della sociologia economica significa “trasformare un problema in risorsa”. Nello specifico i problemi da affrontare non mancano, fase per fase, filiera per filiera. Non manca neppure il tempo per affrontarli sia a livello delle singole aziende, sia a livello di associazioni industriali con i rappresentanti politici locali, nazionali ed europei, cosa peraltro espressamente prevista. Le pagine di questa rivoluzione non sono ancora state scritte tutte.
Antonio Mauro
Direttore di A Campione
Scarica qui il n. 2/24 di ACAMPIONE A Campione 2023_2 LR